Qual è la materia di studio dell’Antropologia dello Sport?
E’ la disciplina che si prefigge di capire perché le persone e i gruppi fanno sport e i modi in cui queste persone producono cultura. Si può fare sport per ragioni meramente chimiche, perché ci fa stare bene o perché attraverso di esso si veicolano valori etici da cui ci sentiamo rappresentati o ancora perché si ritualizza lo scontro tra individui. Si può seguire uno sport per una questione d’appartenenza o come nell’antichità per motivi religiosi.
Una branca dell’Antropologia piuttosto recente, questo nonostante lo Sport esista da sempre, come mai?
Innanzitutto per ragioni metodologiche: fino al secolo scorso l’antropologia culturale era finalizzata alla conoscenza delle società lontane. Oggi invece anche l’analisi della nostra società, un tempo appannaggio della sociologia, e le differenze che sempre più si evidenziano nella cultura occidentale, nonostante la globalizzazione, sono entrate a pieno diritto nell’oggetto di studio dell’antropologia. In secondo luogo perché per molto tempo si è compiuto l’errore di ritenere che lo sport avesse a che fare solo con caratteristiche fisiche e dunque non fosse espressione culturale.
In che modo lo Sport caratterizza una società o una cultura?
In diversi modi, per esempio lo sport può avere un ruolo nel processo di formazione dell’identità nazionale e delle identità collettive in generale.
Se dunque esiste una connessione tra sport e identità nazionale e in Italia, com’è noto, lo sport nazionale per eccellenza è il calcio, come questo ci identifica da un punto di vista culturale?
Intanto non bisogna confondere l’identità con la coesione nazionale. Il calcio per esempio con le sue tifoserie e squadre locali riflette la parcellizzazione della società italiana in città e quartieri, oserei dire anche in ‘classi’ sociali.
Ma il calcio è lo sport più diffuso al mondo…
Non è un caso che lo sia, è la teatralizzazione dei valori delle società occidentali: si mette in scena da un lato la competizione per emergere e dall’altro la collaborazione per raggiungere il risultato. La palla è rotonda, con chiaro riferimento all’imprevedibilità, al caso, alla fortuna. Infine crea pathos e quindi immedesimazione.
Come è cambiata la cultura sportiva dalle Olimpiadi di Olimpia nel 776 a.C. a quelle di Rio 2016?
Il cambiamento macroscopico si è avuto con l’affermazione dello sport nella sua accezione moderna: quelli che una volta erano i giochi olimpici e si ascrivevano a un sistema religioso-rituale oggi sono gli sport olimpici con regole precise, parametri oggettivi e standardizzati, con spazi e tempi dedicati.
Il suo ultimo lavoro editoriale è una monografia dedicata all’antica lotta sportiva bretone del Gouren, perché ha scelto questo particolare sport dell’antichità?
Innanzitutto perché la sua antichità è solo supposta; poi per ragioni personali perché sono un appassionato di judo. In realtà le lotte tradizionali sono diffusissime in molte società ma la presunta antichità conferisce a quella specifica tradizione sportiva particolare prestigio. La Bretagna rivendica un’autonomia culturale rispetto alla Francia, una diversità etnica che viene ricercata nelle radici celtiche e che nell’800 trova una sua supposta legittimazione nella distinzione tra lingua bretone e lingue neolatine. In questo processo che attraverso la distinzione porta alla costruzione di un’identità rientra anche la lotta Gouren. Ad avermi colpito è anche quella che è stata definita l’’eufemizzazione del combattimento’: l’assenza di gerarchie tra insegnanti e allievi, non si parla di avversari ma di compagni, né di combattimenti piuttosto di incontri di lotta.
Come spiega il successo che il calcio storico fiorentino riscuote soprattutto all’estero?
Il calcio storico è affascinante proprio perché rappresenta un’unicità. C’è poi tutta la suggestione che la simbologia di uno sport da contatto sa esercitare: anche un gesto che in altri contesti sarebbe giudicato violento se ascritto all’interno di una precisa competizione sportiva diventa un gesto tecnico e portatore di valori positivi. Non bisogna poi sottovalutare l’influenza delle discipline MMA (arti marziali miste n.d.r.) d’importazione americana. Si tratta di discipline di combattimento che hanno riscosso da subito un grande successo tanto da essersi diffuse anche all’estero. E molti campioni internazionali si allenano in palestre fiorentine.
Ci aiuti a dirimere una querelle contemporanea che sul calcio storico vede su fronti opposti i difensori del corpo a corpo e i cultori del gesto atletico del calciante che realizza la caccia.
Credo si tratti, in definitiva, di un falso problema. Ognuno, secondo le proprie preferenze, preferirà sempre un tipo di gioco a un altro, e la bellezza e l’equilibrio di una partita si decide sul campo, in base a fattori che difficilmente potremmo controllare a tavolino. La verità è che il calcio storico si regge proprio su questa sua duplice natura. Il gioco di squadra e lo scontro corpo a corpo sono lo yin e lo yang del calcio fiorentino. Rinunciare a uno dei due aspetti, o anche solo insistere su uno a discapito dell’altro, significherebbe perdere buona parte del fascino che esso esercita su praticanti e spettatori.